2004 Padova, Abbazia di Praglia
Squarcione (bottega), dipinti murali del chiostro di clausura (XV sec.)
Committente
Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico del Veneto
Direzione dei lavori
Dott. F.Magani
Altre immagini
Teolo (PD) – Abbazia di S. Maria di Praglia – Chiostro doppio (sec. XV) – I dipinti a terra verde del chiostro di clausura.
Alle falde dei Colli Euganei, nel comune di Teolo, sorge il monastero Benedettino dell’abbazia di Praglia, all’interno del quale si trovano quattro chiostri: doppio, detto anche della clausura, botanico, pensile e rustico. Destinato fin dall’origine al dormitorio, il Chiostro Doppio, così chiamato perché strutturato su due piani uguali, custodisce ancora oggi la clausura delle celle e degli spazi privati dei monaci.
Le pareti del piano superiore, ma solo in corrispondenza dell’angolo sud-ovest, sono decorate con dipinti a monocromo su fondo verde, raffiguranti verosimilmente scene della vita di San Benedetto, da lettura iconografica emersa a restauro ultimato. La realizzazione del ciclo decorativo, che forse doveva proseguire su tutte le pareti del chiostro, fu probabilmente interrotta nell’avvicendarsi dei diversi abati dell’abbazia, così come si deduce da documenti d’archivio e dai dati materici rinvenuti durante i restauri.
I dipinti furono scialbati molto presto: da ricerche d’archivio, si sa che nella seconda metà del ‘700 furono scialbati diversi affreschi e che in genere furono anni di grandi spese per riparazioni di “chiostri in rovina”. E’ molto probabile che gli interventi di scialbo siano stati comunque più d’uno, come è emerso dalle indagini microanalitiche: si era verificata evidentemente la necessità di ripetere più volte la stessa operazione di tinteggiatura per nascondere una superficie già molto degradata, caratterizzata in molti punti da cadute della pellicola pittorica e degli scialbi stessi.
Nel 1960 il Prof. Michelangelo Muraro della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia, dirige un intervento di restauro in corrispondenza della prima campata del lato meridionale, ma interrompe i lavori perché si tratta di “…dipinti murali non a buon fresco… e le ripetute mani di bianco di calce, applicate (…) nel corso dei secoli, hanno creato uno strato che risulta più consistente della pellicola pittorica. Rimuovere con mezzi meccanici quella crosta vuol dire strappare e perdere l’antico dipinto…”
I dipinti infatti hanno tutte le caratteristiche proprie della tecnica ad affresco, ossia giornate, incisioni e battiture di fili, ma gran parte della superficie dipinta presenta fenomeni di degrado, quali cadute diffuse e sollevamenti della pellicola pittorica, che sembrerebbero più da ricondurre ad una stesura del colore sull’intonaco secco. Altri fattori che hanno sicuramente contribuito al cattivo stato di conservazione della decorazione sono quelli legati al microclima di questa parte del chiostro: fenomeni di umidità da risalita e condensa superficiale, oltre che una forte ventilazione che ha provocato il distacco di parte degli strati più superficiali. A causa della tecnica esecutiva, “…non a buon fresco”, è molto probabile che in diverse zone lo scialbo, cadendo, abbia strappato la pellicola pittorica.
In occasione degli ultimi interventi di restauro, realizzati dal Consorzio C.B.Art. tra il 2004 e il 2005, i dipinti si presentavano quindi quasi completamente coperti da scialbi, in parte caduti ed in parte molto adesi alla superficie sottostante.
Si è proceduto con il consolidamento degli strati preparatori mediante iniezioni di malta idraulica premiscelata e con il ristabilimento dei difetti di adesione e di coesione della pellicola pittorica mediante applicazioni di resina acrilica in emulsione, anche in corrispondenza delle ampie zone ricoperte da scialbi, sia applicando il prodotto a pennello sia iniettandolo con siringhe in corrispondenza di cretti e/o sollevamenti, per poter poi intervenire meccanicamente con la successiva fase di rimozione degli spessi strati di scialbo. Tale operazione è stata eseguita a bisturi e con l’ausilio di microtrapani ad alta precisione in corrispondenza degli strati più spessi, a volte alternando l’azione meccanica con l’applicazione di compresse di sali inorganici. Ultimate le fasi di descialbo si è proceduto alla rimozione delle sostanze organiche sovrammesse mediante applicazione di carta giapponese e/o compresse di cellulosa imbevute di una soluzione di sali inorganici. Rimosse le stuccature non idonee per composizione, morfologia e colore, si è proceduto alla stuccatura delle lacune degli strati preparatori e dell’ampia lacuna in corrispondenza della tamponatura in muratura del portale, con malte aeree a base di grassello di calce e inerti, opportunamente selezionati, simili a quelle originali. Le ampie zone di abrasioni e cadute di pellicola pittorica sono state trattate con velature ad acquerello di colore neutro e, dove possibile, ricucendo a tono le sole aree interessate da microlacune. Le lacune dello zoccolo in corrispondenza dell’ultima campata di sinistra del lato sud sono state ricostruite con tecnica riconoscibile a tratteggio. Considerata la caratteristica del chiostro, quale ambiente semiconfinato, in accordo con la Direzione dei Lavori, è stato infine ritenuto opportuno procedere con l’applicazione di un protettivo finale, al fine di proteggere le superfici dall’azione degli agenti atmosferici o comunque rallentarne il degrado.